Nelle ultime settimane, sui nostri canali social, abbiamo deciso di presentare uno ad uno i fantastici membri di Nova Stark. Tra i membri troviamo anche Natalia, studentessa del Politecnico di Torino con cui abbiamo il piacere di collaborare da qualche mese a questa parte. Se vi siete persi il post su Natalia potete trovarlo qui o qui.

Ma di cosa si occupa Natalia? Del cosiddetto Design of Experiments, comunemente chiamato DOE. Vediamo di cosa si tratta e come si applica tale ricerca a noi.

Come il nome stesso indica, Design of Experiments si riferisce al processo di raccolta dati e progettazione di un esperimento. Si prefigge di studiare la relazione che intercorre tra diverse variabili input con importanti variabili output. In generale, per chiunque voglia intraprendere questo procedimento, come primo step è necessario avere bene in mente cosa si vuole indagare e che risultati si vogliono ottenere.

Nel nostro caso specifico, vogliamo capire cosa influenza il processo di evaporazione del vino all’interno delle botti dei nostri cantinieri. Questa informazione è di vitale importanza: il peggior nemico del vino, infatti, è l’ossigeno. Ossidandosi, il vino perde in qualità organolettiche e in proprietà antiossidanti. Come conseguenza dell’evaporazione si ha infatti non solo che le botti iniziano a riempirsi di aria (e quindi anche ossigeno), ma quando poi vengono aperte per il rabbocco entrano in contatto con l’aria esterna.

Risulta quindi naturale voler ridurre al minimo indispensabile le occasioni di apertura delle botti per effettuare colmature.

Al fine di sfruttare appieno il DOE, è necessario fare un programma preliminare di tutto ciò che si andrà a fare, parliamo quindi di planning: il primo passo è sempre quello di avere una buona metodologia. In generale, ci sono tre motivi principali per cui utilizzare il Design of Experiments:

  • Per capire se un fattore ha ripercussioni sul risultato;
  • Per modellizzare il comportamento di un risultato in funzione dei fattori presi in considerazione;
  • Per ottimizzare i risultati.

Per ottenere tutto ciò, vi sono due possibili approcci: il primo, il cosiddetto metodo trial-and-error si basa sulla variazione simultanea dei parametri considerati, in modo tale da ottenere un valore finale il più possibile ottimizzato. Tale variazione viene realizzata seguendo l’intuizione e osservando di volta in volta se il risultato si avvicina a quello che viene considerato il valore atteso. Come si può immaginare, senza conoscenze preliminari in materia non si ha la capacità di capire quale sia il valore atteso ottimale.

Il secondo è il metodo one-factor-at-a-time (OFAT): si concentra sulla variazione di un singolo fattore, e una volta ottimizzato il risultato per quello si passa al fattore successivo. In entrambi i casi, specialmente nell’ultimo presentato, è difficile trovare il risultato ottimale studiando due o più variabili influenti.

Nel nostro caso, risulta essere più adatto l’approccio OFTA. I dati raccolti dai sensori installati nelle cantine partner forniscono specifiche combinazioni di temperatura e pressione che devono essere correlati alla quantità di vino nelle botti. 

Tuttavia le variabili da considerare non si limitano alle condizioni ambientali ma devono essere tenuti in considerazione le caratteristiche intrinseche delle cantine e delle botti stesse.

Risulta importante quindi capire in quale direzione muoversi e delineare un programma di azione specifico per ogni situazione.

Nelle prossime settimane vedremo quali sono i prossimi step. Fateci sapere cosa ne pensate e se volete restare sempre aggiornate date un occhio ai nostri canali social e alla nostra newsletter.